Le vite delle aziende brulicano di competenze specifiche in tutte le funzioni. Proprio nelle funzioni troviamo un universo di competenze che puntualmente consentono alle aziende di crescere, migliorare e attraversare situazioni turbolente e critiche. Nonostante la loro fondamentale importanza, le competenze tecniche non sono le sole a definire il successo a lungo termine di un’organizzazione. Negli ultimi 20 anni di studi, si è accertato che oltre ai tecnicismi ci sono altre caratteristiche che contribuiscono al successo o all’insuccesso delle aziende. Trasversale a tutte c’è una competenza da sempre sottostimata: la capacità di dare feedback.
L’errore più comune nella storia delle organizzazioni economiche è dare per scontato l’esistenza o meno del feedback.
Immaginate di essere a lavoro e portare avanti le vostre attività: chiudete progetti, parlate con un cliente, spuntate un prezzo favorevole con un fornitore, assumete una persona. Attività più o meno ordinarie che scandiscono la vita di qualsiasi professionista di qualsiasi settore.
Ora, immaginate di non ricevere nessun riscontro a fronte di tutte queste azioni, qualunque esse siano. Nessuno riscontro, dunque, nessuna reazione, positiva o negativa. Fate risparmiare alla vostra azienda 100.000€ e il vostro capo non mostra segni di essersene accorto. Non riuscite a chiudere una commessa dopo lunghe ed estenuanti trattative e, anche in questo caso, sembra che sia accaduto niente.
Al di là delle iperboli, situazioni come quelle sopra sono molto più frequenti di quel che sembri. Ciò che bisogna affermare con forza è che l’assenza di feedback distrugge ogni possibilità di sana relazione fra le persone di qualsiasi organizzazione economica. L’assenza di feedback nega qualsiasi possibilità alla persona di poter riflettere su quanto fatto e quindi la possibilità di poter migliorare, capire o semplicemente essere fiero di sé. Essere visti dall’altro, dall’organizzazione.
In un mondo sempre più veloce, la necessità umana di conoscere il senso e gli effetti delle proprie azioni non è cambiata e soprattutto oggi, dove il tempo sembra sfuggirci di mano in centinaia di attività diverse, dove il multitasking sembra essere diventata la parola d’ordine, sembra quanto mai essenziale riuscire a ritagliare il giusto spazio e il giusto tempo per poter ricevere un feedback, accoglierlo e farne tesoro.
Che si tratti di una semplice pacca sulla spalla, di un complimento o di un rimprovero, ogni feedback ha bisogno di un confine nel tempo che lo ammanti della dignità necessaria affinché abbia la giusta importanza. Licenziare una risorsa senza una spiegazione o senza un incontro formale è una brutalità inaudita.
Celebrare una negoziazione a favore della propria azienda per centinaia di migliaia di euro limitandosi ad una e-mail di due righe è sottostimante. Non dare il giusto tempo al merito o al demerito è di per sé una mortificazione delle azioni altrui che mette in pericolo le nostre organizzazioni.
Se l’assenza di feedback è un veleno comune, è allora un intruglio fatale quel feedback che si basa sulla persona e non sul suo lavoro.
Il feedback è tale solo se ha come obiettivo il riscontro sull’attività professionale della persona o del gruppo che abbiamo di fronte.
Utilizzare espressioni come “Tu sei una brava persona…” o peggio “Non me l’aspettavo da te…” significa star focalizzando la propria restituzione non su quanto oggettivamente osservato in un’attività bensì sulle caratteristiche personali della persona, creando un legame di causa-effetto fra ciò che la risorsa è e ciò che la risorsa ha fatto. “Hai fatto bene, perché sei proprio una brava persona”; “C’era un errore nel file, ma non mi meraviglio perché tu sei un tipo un po’ distratto, in generale”. Tali affermazioni sviliscono e sminuiscono la professionalità, a prescindere dal ruolo e dalla posizione in organigramma. Il feedback è uno strumento potente che deve essere puntato solo ed esclusivamente sull’operato del professionista e non su di esso. Questa è una regola imprescindibile.
È certamente facile e piacevole dare feedback positivi quando va tutto bene.
In questi casi, i più scaltri utilizzano tali momenti per mettersi in evidenza per motivi che possono essere organizzativi, sociali, politici, ma questo è un effetto collaterale che se ben gestito è innocuo. Sicuramente meno innocuo è il fenomeno del “fleeing”, che vede la persona responsabile del feedback fuggire, a volte letteralmente, da questo compito e creare il più classico dei corto circuiti.
Una certa dose di buonismo ci potrebbe portare sulla strada dell’eccessiva empatia, facendoci temere il dover dare un feedback negativo, il dover criticare l’operato di un nostro collaboratore. Anche se così fosse, il fuggire a questo compito sarebbe comunque un male perché è sempre la mancanza di spessore gestionale e professionale ad essere causa di tali omissioni. Le conseguenze, ça va sans dire, sono disastrose gerarchicamente, relazionalmente e culturalmente.
Il feedback è un momento di assoluta fiducia fra due parti (one-to-one o one-to-many) che hanno collaborato e che sono organizzativamente legate.
Nella gran parte dei casi, restituire un feedback è compito del responsabile organizzativo della risorsa che, in base alle valutazioni sul lavoro svolto dal collaboratore, decide modi e tempi per fare una restituzione chiara, condivisa e discussa.
In alcuni ambienti aziendali, dove magari il colloquio di feedback così strutturato è stato implementato da poco, c’è la tendenza da parte di chi ha la responsabilità di delegare o addirittura cedere tale compito perché poco interessato o poco consapevole dell’importanza del momento. Sono enormi e disastrosi gli effetti culturali dovuti all’impossibilità di poter condividere domande e riflessioni sul proprio lavoro. Altrettanto gravi i segni sull’intera organizzazione quando un responsabile si sottrae alla restituzione di un feedback, perché non è solo nel singolo che l’azienda perde di spessore ma è nella sua interezza.
Il feedback è lo strumento più potente che le aziende di qualsiasi dimensione possano avere per poter accrescere, trasmettere, condividere e creare una buona cultura aziendale perché il feedback è uno strumento di crescita professionale per chi lo riceve e anche per chi ne è responsabile.
In un tempo di grande cambiamento culturale e organizzativo, dove le popolazioni aziendali sono ormai diffuse sui territori e non più riunite in un solo luogo, la cultura del feedback diventa un collante dal potere sorprendente.
Introdurre una cultura del feedback vuol dire rinnovare la fiducia dei propri collaboratori nei propri responsabili e in tutta l’organizzazione, sbloccando opportunità e motivazioni, rinnovando produttività e competenze che ad oggi sembrano irraggiungibili ma che sono lontane soltanto il tempo di una chiacchierata insieme.
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